Scuole cattoliche ‘in uscita’ (con qualche corto circuito).
Brevi riflessioni sull’Istruzione L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo della Congregazione per l’Educazione cattolica. Di Pasquale Nascenti*
Il 29 marzo 2022 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato l’Istruzione L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo, frutto del Congresso mondiale tenutosi nel 2015 e di una serie di incontri, come le ultime Assemblee generali della medesima Congregazione e le visite ad limina di molti vescovi. Il documento, che è stato ovviamente pensato e indirizzato alle scuole cattoliche di tutto il globo, offre delle linee guida riguardo all’identità delle scuole gestite da enti cattolici. La sua pubblicazione è stata bene accolta dalle scuole paritarie interessate ma non ha mancato di suscitare delle perplessità evidenziate dalla stampa generalista e specializzata.
Il documento riassume, nella prima parte (artt. 8-36), i principi fondamentali del senso della missione educativa della Chiesa, educazione intesa come formazione integrale della persona umana, legata soprattutto al compito ecclesiale di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza (art. 13), non escludendo coloro che non sono cattolici, e al fine di promuovere il bene comune della società terrena in generale (art. 32). Richiamando brevemente il Magistero ecclesiale, in particolar modo la Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, l’identità cattolica viene individuata riferendosi alla vera concezione cristiana della realtà di cui Gesù Cristo costituisce il centro (art. 20). Non mancano gli elementi di novità che ivi si introducono, specialmente nel richiamo al Magistero di Papa Francesco sulla ‘Chiesa in uscita’: anche le scuole cattoliche sono pienamente inserite in quest’ottica (art. 31).
Nella seconda parte (artt. 37-66) vengono elencati i protagonisti della promozione (e della verifica) dell’identità cattolica: al primo posto ci sono gli alunni, primi attori e destinatari dell’azione delle scuole cattoliche, ma anche le loro famiglie, i docenti, il personale tecnico-amministrativo, il dirigente scolastico, senza tralasciare i rapporti con la Chiesa locale, in particolar modo con il Vescovo del luogo, sotto la cui cura e vigilanza (e per vigilanza s’intende anche la prerogativa di adottare provvedimenti disciplinari più o meno seri) è posta l’istituzione scolastica cattolica.
Nella terza parte (artt. 67-93) vengono affrontati alcuni punti critici, in relazione alle divergenze che potrebbero sorgere riguardo all’interpretazione della qualifica di “cattolica” e al suo porsi come istituzione dal doppio inquadramento normativo (canonico e statale-civile); vengono affrontati alcuni ambiti e temi particolarmente sensibili e che destano, a detta dell’Istruzione, molta preoccupazione nelle scuole.
Emergono, ad una prima lettura, degli elementi positivi, di certo non nuovi, che tendono a connettere intimamente l’educazione alle priorità della missione della Chiesa intera. Tale missione educativa è condivisa corresponsabilmente da tutte le parti che lavorano nell’istituzione scolastica e che formano la comunità educante, la quale è chiamata a dare prova non soltanto dell’impegno professionale ma anche della testimonianza cristiana (art. 34), come elemento che la caratterizza e la contraddistingue dalle altre scuole. La comunità educante è responsabile di assicurare il rispetto della vita, della dignità e della libertà degli alunni e degli altri membri della scuola (art. 40). In particolar modo essa mette in atto tutte le necessarie procedure di promozione e tutela dei minori e dei più vulnerabili, sanzionando i trasgressori secondo le leggi canoniche e civili. E non si può qui non pensare come questa esplicita menzione sembri essere stata invocata come forma di prevenzione e arginamento di quei fenomeni nefasti legati a episodi di abusi psicologici e sessuali commessi da coloro che avevano responsabilità educative nella Chiesa.
Questa missione educativa, viene sottolineato, è rivolta a tutti ma in particolare ai più deboli (art. 22), con un occhio di riguardo per coloro che per ragioni socio-economiche non possono/riescono ad accedere all’istruzione; in questo si manifesta, come già nel passato hanno fatto numerosi santi e istituzioni educative, la carità della Chiesa verso i giovani poveri e abbandonati. Molto significativa è la concezione di educazione come movimento (art. 32): di squadra (dove ognuno collabora secondo i suoi talenti), ecologico (atto a recuperare gli equilibri), inclusivo (l’inclusione è il metodo stesso dell’educazione), pacificatore (in grado di generare armonia e pace).
Nella attuale società multireligiosa e multiculturale l’elemento che deve fare da guida deve essere il dialogo di cui bisogna quotidianamente apprendere e praticare la grammatica (art. 30).
Non mancano nel documento alcuni elementi che hanno sollevato (e continuano a sollevare) alcuni dubbi, se riferiti all’attuale situazione italiana e al suo assetto legislativo e scolastico. Alcuni di questi dubbi sembrano simili a degli scivoloni: mi riferisco al fatto che il documento, citando il personale non docente, faccia menzione del personale tecnico-amministrativo (art. 39) ma non di quello ausiliario, di cui sembra ignorare le competenze e forse anche l’esistenza; mi riferisco al cliché perpetrato che vorrebbe i giovani con svantaggi socio-economici, e quindi non in grado di accedere ai normali livelli di istruzione, più indirizzabili verso la formazione tecnica (art. 22) che verso gradi più avanzati dell’istruzione.
Altri elementi del documento creano, a modesto parere del sottoscritto, un vero e proprio corto circuito all’interno del documento stesso, proprio in riferimento a quella serie di aspetti – è proprio il documento a rilevarlo – che potrebbero destare maggiori preoccupazioni per la doppia appartenenza legislativa, canonica e statale-civile, che inquadra le scuole cattoliche (art. 75). E si tratta di elementi non di poco conto. Ne evidenzio due.
Se da un lato è (anche costituzionalmente) salvaguardata la libertà delle scuole cattoliche di definire la propria identità di scuola confessionale con specifici statuti (art. 74) che ne illustrino gli obiettivi, le finalità e soprattutto l’identità cattolica, dall’altro sembra che il documento ritenga legittimo abbinare allo strumento del contratto di lavoro, strumento regolato dalla legge e oggetto di contrattazione con le organizzazioni sindacali, un ulteriore dispositivo contrattuale, un accordo vincolante per i lavoratori la cui non ottemperanza autorizzerebbe (art. 46) la scuola cattolica a non assumere e, nei casi più gravi da valutare singolarmente, a risolvere il rapporto di lavoro con la dimissione del lavoratore. E sembra che tale dichiarazione aggiuntiva possa essere sottratta alla contrattazione sindacale, contrattazione invece prevista dalla legge per la tutela del personale scolastico. In altre parole: non si capisce perché – e qui risalta il corto circuito – se da un lato il documento ribadisce che lo sviluppo di principi e valori (art. 40) per la protezione degli alunni e degli altri membri possa avvalersi di sanzioni, nei casi di trasgressione, applicando le norme canoniche e civili, dall’altro s’intende introdurre una dichiarazione aggiuntiva e vincolante per il lavoratore: si ritengono forse non sufficienti le tutele offerte dalle norme statali contrattuali al punto tale da ritenere di doverle integrare?
Inoltre sembra che si crei un corto circuito decisamente più serio, perché riguardante alcuni principi costituzionali, quando il documento, al fine di tutelare l’identità cattolica della scuola, dà delle disposizioni su misure da adottare in alcuni casi. La Congregazione fa riferimento a quei Paesi (e l’Italia è uno di questi) le cui legislazioni nazionali potrebbero considerare non condivisibili quelle “discriminazioni” (il termine è virgolettato anche nel testo ufficiale) a causa della religione, dell’orientamento sessuale e di altri aspetti della vita privata (art. 77), discriminazioni che, invece, sono ritenute proprio tali dalla Carta costituzionale (art. 3). Il corto circuito si crea nel momento in cui la legge statale è invocata dallo stesso documento come normativa-quadro di riferimento indispensabile per l’ordinamento scolastico e per la tutela dei singoli membri della comunità educante (art. 40) e poi non viene considerata quando si tratta di dotarsi di un contratto aggiuntivo per il lavoratore che possa contenere elementi afferenti a definizioni opinabili di discriminazione e, quindi, lesivi non soltanto dei diritti lavorativi ma anche degli stessi diritti fondamentali della persona.
Mi chiedo se la concreta attuazione di questo documento in ambito italiano possa essere armonizzata con l’art. 9, comma 1 dell’Accordo di Revisione del Concordato (1984), che gode di protezione costituzionale (Cost. art. 7) e che recita: “La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione”. La libertà di istituire scuole regolate da determinati principi, anche cattolici, (Cost. art. 33) può ridimensionare il principio di uguaglianza e non discriminazione (Cost. art. 3)?
Provando a leggere maggiormente in profondità sembra che tra i tre elementi critici (la religione, l’orientamento sessuale, altri aspetti della vita privata) non è certo la religione a destare preoccupazioni. Nel senso che il documento prende le distanze (art. 72) da un modello ‘chiuso’ di scuola cattolica, una scuola, cioè, dove non ci sia spazio per chi non è “totalmente cattolico” (il virgolettato è nel testo ufficiale), ricordando finanche che tale modello contraddice la visione di una scuola cattolica ‘aperta’ che intenda tradurre in ambito educativo il modello della ‘Chiesa in uscita’. Infatti è lo stesso documento che riporta (art. 47) che il personale scolastico appartenenti ad altre Chiese, comunità ecclesiali o religioni, e anche quelli che non professano alcun credo religioso possono essere assunti, con l’ovvio obbligo di riconoscere e rispettare il carattere cattolico della scuola.
Resta l’orientamento sessuale come elemento su cui il documento prende atto che in tanti Paesi la legge civile escluda una “discriminazione” (forse ritenendo quindi legittimo discriminare in base all’orientamento sessuale?). Sorge spontaneo qui menzionare la sentenza n. 31071 del 2 novembre 2021 della Corte di Cassazione Civile (sez. Lavoro) che ha condannato per discriminazione (Cost. art. 3) un istituto paritario cattolico di Trento che nel 2014 non aveva rinnovato il contratto a un’insegnante per sospetti sul suo orientamento sessuale. La scuola era stata già condannata sia in primo grado sia in appello: la Cassazione ha confermato che l’istituto ha commesso una discriminazione.
Si auspica per il bene dei lavoratori e della stessa scuola cattolica che non ci si trovi mai a dover percorrere la via giudiziaria, per quanto lo stesso documento non ne escluda la possibilità (art. 81), prevedendo diverse vie che garantiscano la comunione tra le parti coinvolte nella missione educativa e arginando lo scandalo più grande che è quello della rottura dell’unità (art. 76).
Si auspica, invece, che davvero l’identità cattolica costituisca un terreno di incontro (art. 84), uno strumento per la convergenza di idee e azioni, in modo che le diverse prospettive divengano una risorsa. In questa cornice si aprono le porte di una vera cultura del dialogo attraverso una comunicazione inclusiva e permanente, che si fa prassi da stabilire, promuovere e praticare già prima di eventuali tensioni (art. 87).
In conclusione ci si augura – come anche il documento si augura (art. 97) – che l’identità cattolica del progetto educativo contribuisca alla realizzazione di un patto educativo globale – qui il richiamo esplicito è a Papa Francesco (Messaggio per il lancio del Patto Educativo Globale, 12 settembre 2019) – “per ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione”.
*prof. Pasquale Nascenti, idr, dottorando in studi storico-pedagogici