Agorà IRC n. 5 – maggio 2021
PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE: TRA METODOLOGIA E INTERDISCIPLINARITÀ
di Giuseppe Favilla
Fin dalle origini la scuola pubblica, così come di fatto oggi la intendiamo, aperta a tutti, ha avuto una sua progettualità che nel tempo ha acquisito delle specificità più concettuali che progettuali, per trasformarsi in rigidi programmi di studio da dover completare in un arco di tempo ben preciso (annuale) fino ad arrivare, con l’autonomia scolastica, a definire dei percorsi sempre più calibrati sulla realtà del gruppo classe e del singolo studente al fine di sviluppare in ciascuno di essi competenze di vita.
La strada dello sviluppo di cosa fare a scuola e di come adattare al contesto e all’età, lo troviamo fin dalla legge Casati del 1859 che nella scuola elementare inferiore obbligatoria con l’insegnamento di religione, lettura, scrittura, aritmetica elementare, lingua italiana, nozioni elementari sul sistema metrico ha dato la prima impronta alla programmazione. Diversi furono i provvedimenti che configurarono la scuola nel post Unità d’Italia, ma possiamo cominciare a parlare di veri e propri programmi di origine ministeriale a partire dal 1905 con il Regio Decreto n. 43 che definiva quelli che furono i nuovi programmi fino ad arrivare alla vera grande riforma, quella che più a lungo ha resistito ma anche in parte la più controversa in quanto inserita negli anni più oscuri della nostra storia italiana, la riforma del Ministro siciliano, originario di Castelvetrano in provincia di Trapani, Giovanni Gentile. La riforma che prende il nome del Ministro ha come motivo ispiratore l’accentuazione degli studi umanistici filosofici, trascurando gli studi tecnico scientifici. I programmi ministeriali, ivi compresi i programmi di religione cattolica, che era stata definita «A fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica» (Circolare Ministeriale n. 77 del 1924), rimarranno per lo più invariati fino al 1945. Col D.M. del 9 febbraio n.459 e D.L.gt 24 maggio n.549 “Il fine della scuola fu posto ” nel rifare la coscienza e l’anima delle nuove generazioni”, associando le forze della cultura a quelle del lavoro e preparando i ragazzi alla vita civile. Si ritenne opportuno anche sottoporre agli insegnanti ” diversi motivi di riflessione e di studio” nel campo tecnico- metodologico. Tra le materie costituenti il curricolo era presente l’insegnamento della religione, ispirata al sentimento d’amore verso tutti gli uomini, in modo che i precetti religiosi venissero a corrispondere ai contenuti essenziali ed universali della coscienza umana” (da http://www.dirdidatticamelia.it). Interessante è notare che anche oggi, nonostante dai programmi del 1945 alle indicazioni nazionali del 2010 siano passati ben ottantacinque anni, troviamo gli stessi elementi, condiderati in un’ottica più ampia e rinnovata. Con una nuova chiave di riflessione: “L’Irc, nell’attuale contesto multiculturale, mediante la propria proposta, promuove tra gli studenti la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo, educando all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace”(Indicazioni Nazionale per l’IRC del Secondo Ciclo di Istruzione 2010).
In questa nuova ottica troviamo il punto di snodo, dalla programmazione alla progettazione. Dalla programmazione, così come viene definita per la prima volta nel DPR 416 del 1974 (“programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dalla Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare” art. 4), si passerà alla progettazione dell’attività didattica che trae origine dalla scuola dell’autonomia, istituita con la legge 59 del 1997 e che troverà la sua definitiva archiviazione con il DPR 275/1999. Le scuole, attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (diventato triennale con la legge 107/2015), nell’alveo delle Indicazioni Nazionali di ciascuna disciplina, progettano l’attività didattica, in modo particolare: “Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema, a norma dell’articolo 8 concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo” (art. 4 DPR 275/1999).
Dunque la progettazione di un percorso non può non tener conto di un ulteriore elemento che lo differenzia anche dalla programmazione: l’interdisciplinarietà. La domanda nasce spontanea, ma la risposta non è altrettanto scontata: come può una disciplina qual è l’IRC raggiungere, insieme alle altre discipline, il successo formativo di ciascun studente? Ebbene da questo momento si dovrebbe aprire un lungo capitolo di riflessione; un lungo capitolo nel quale ripensare l’Insegnamento della Religione Cattolica in un’ottica di trasversalità educativa che trae origine da una scelta operata dal singolo. , in un orizzonte progettuale ove si colloca tutta l’azione educativa, anche l’insegnamento di religione cattolica necessita di essere preso in considerazione e riformato. Oggi non è più rinviabile, insieme a tante altre questioni che qui è superfluo riproporre, l’equiparazione valutativa dell’IRC alle altre discipline. Oggi un docente di religione può interagire con le altre discipline per ¾ della propria attività di insegnamento, dovendo, quasi per forza di cose, tralasciare il momento valutativo, dunque interrompere la conclusione del processo. A norma dell’art. 309 del Dlgs 297 del 1994, infatti, viene esclusa la possibilità del docente di poter esprimere un voto o un giudizio interdisciplinare quando questo derivi dall’azione educativa del consiglio di classe nella secondaria o nel team nella scuola primaria in quelle attività progettuali orizzontali che coinvolgono più discipline. Si può parlare dunque di interdisciplinarietà oppure è più opportuno per l’IRC parlare, allo stato attuale, di percorsi multidisciplinari? I percorsi multidisciplinari, anch’essi trasversali, avvengono all’interno delle proprie discipline e considerano l’ultimo momento, quello valutativo, singolarmente. in altri termini ogni disciplina, al termine del percorso attua un proprio momento valutativo, calibrato sulla propria porzione didattico disciplinare e la valuta. La interdisciplinarietà, di contro, necessità di un unico momento valutativo comune a tutte le discipline coinvolte. Come superare questa “discrasia” valutativa?
La stessa interdisciplinarietà, ma anche l’insegnamento di ciascuna disciplina necessità di una metodologia, di un approccio specifico, delle strategie comunicative, degli strumenti utili con il fine ultimo di suscitare nell’alunno e nella alunna una profonda riflessione per raggiungere gli obiettivi trasversali, facendo maturare competenze conoscitive e di vita, ma al contempo conoscenze disciplinari propri di ciascuna disciplina attorno ad un specifico tema.I nostri redattori si cimenteranno, ognuno con le proprie riflessioni, esperienze ed incontri, in questa avventura che collocata nel mese di maggio rappresenta per tutti noi un momento di riflessione sulle scelte educative poste in essere in questo lungo anno fatto da tanti momenti, tra di loro a volte contrastanti, ma sempre necessari per la formazione dell’uomo e del cittadino.
SFOGLIA L’INTERA RIVISTA