IL BURNOUT: intervista al dott. Vittorio Lodolo D’Oria
Sindrome da “burnout” e scuola, cosa accade quando gli insegnanti vengono colpiti da questo genere di patologie da stress e come ci ha cambiati il Covid: sono alcuni degli argomenti trattati nell’intervista con il dottor Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista, anche se ama definirsi innanzitutto coniuge devoto e padre orgoglioso di quattro figli, che dal 1992 si occupa delle malattie professionali degli insegnanti, accompagnandoli nel percorso della prevenzione, della cura e degli aspetti medico-legali legati a questi disturbi. Autore di molteplici pubblicazioni scientifiche, Vittorio Lodolo D’oria è anche pubblicista ed è stato redattore di Orizzontescuola dal 2013 al 2021. Ha inoltre al proprio attivo diverse consulenze per MIUR, USR, sindacati e associazioni di categoria (docenti e dirigenti scolastici) proprio sulla tematica dello stress da lavoro correlato. Abbiamo per questo posto alcune domande al dottor Lodolo D’Oria per provare a comprendere.
Cosa si intende con il termine “burnout” e di cosa si tratta ? “Iniziamo subito con il precisare che con il termine “burnout” non si definisce una diagnosi medica, -afferma il medico- bensì di una “condizione psicologica” da poco riconosciuta come tale dall’Organizzazione mondiale della sanità come ICD-11, (ovvero nella classificazione internazionale delle malattie) che non ha però, al momento, riconosciuto la sua dignità di patologia. Per poter arrivare ad una diagnosi medico-psichiatrica, soprattutto in ambito di idoneità all’insegnamento, è fondamentale che essa venga prima riconosciuta come tale. Per questa ragione, quello del “burnout” è, al momento, più semplicemente un neologismo che purtroppo non significa molto in ambito psichiatrico”. Per dirla in breve, come ha evidenziato il dottor Lodolo D’Oria: “se non c’è diagnosi, non c’è patologia, non c’è indennizzo e quindi nemmeno prevenzione e lo stanziamento di fondi che questa richiede”. È questa la prima importantissima precisazione da effettuare quando si parla di “burnout” “ infatti iltermine cerca di indicare una condizione di esaurimento emotivo, de-perso nalizzazione e de-realizzazione derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e a fattori della sfera personale e ambientale”. In genere, come sappiamo colpisce coloro che sono impiegati nelle professioni di aiuto, in ambito sanitario e sociale, come medici, assistenti sociali, insegnanti, ma può colpire anche altre categorie che hanno un contatto frequente con il pubblico, come impiegati e poliziotti è cosi? “Con termini equivoci come burnout, rischi psicosociali, stress da lavoro correlato, -continua il dottore- in realtà indichiamo ben poco in quanto si tratta di neologismi, non di vere diagnosi mediche. Per capire l’anamnesi della problematica, bisogna partire da cosa si intende per Stress Lavoro Correlato (SLC) così come indicato dall’art. 28 del DL 81/08: secondo la definizione correntemente utilizzata, per SLC si intende lo “stress generato dal lavoro”. Questa interpretazione ha forti limiti poiché estremamente riduttiva:infatti sembrerebbe non ricomprendere il caso in cui, per esempio, una maestra stressata per i suoi problemi familiari, sfoghi il suo stress accanendosi su di un alunno. Infatti ne conseguirebbero richiami, sanzioni, sospensioni o altri provvedimenti e dunque il lavoro ci andrebbe di mezzo. La definizione più corretta di SLC, apparirebbe, essere la seguente: “trattasi di stress manifestato sul lavoro a prescindere da dove lo stress medesimo ha avuto origine”. In effetti, il legislatore non specifica per quale tramite lo stress debba correlarsi al lavoro: le sue cause o le sue conseguenze. La salute degli insegnanti è, di fatto, un bene prezioso che non è mai stato debitamente o affatto considerato.
Dottor Lodolo d’Oria, viene quindi da pensare che anche l’art. 28 del Testo Unico dei lavoratori (DL 81/08), dove vi è esplicito riferimento allo SLC non sia quindi sufficiente per arginare la problematica del burnout, è esatto?
“ Certamente la salute degli insegnanti è un problema serio che nasce da lontano e riguarda la società intera. Deve essere affrontato scientemente, riconoscendo che i luoghi comuni, gli stereotipi e le falsità sulla professione dell’insegnante (i tre mesi di ferie e il lavoro dalla durata di mezza giornata), nati sulla scia delle contestazioni stu- dentesche del ’68, hanno fatto il loro tempo lasciando ferite e cicatrici nell’arte dell’insegnare ed educare. È sempre nel ’68 che Fernand Hotyat, autore del Manuale di Psicologia del fanciullo, ricordava come insegnare è logorante ancor più con l’aumentare del tempo ma, dopo l’abolizione della riforma delle cosiddette “baby pensioni” (riforma Amato del 1992) che, seppur nella loro insostenibilità, tentavano di riconoscere il logorio di tale professione, si sono succedute altre e nuove riforme previdenziali (al buio perché mai hanno valu-
tato la salute della categoria professionale) che hanno portato l’età pensionabile a 67 anni; a dispetto di quanto recita l’art. 28 del TU, che impone il monitoraggio e la prevenzione dello SLC nelle professioni di aiuto, nonchè particolare riguardo rispetto al genere e all’età del lavoratore”.
Di recente è stato riconosciuto psicofisicamente gravoso l’insegnamento nella Scuola dell’Infanzia “un buon inizio se non fosse che gli studi a disposizione ci confermano come l’usura psicofisica è identica in tutti i livelli di insegnamento. Si è passati dalle insostenibili baby-pensioni, agli intollerabili 67 anni della Monti-Fornero, senza mai effettuare un solo controllo nei riguardi della salute di una categoria professionale che oggi cade a pezzi, è contestata e sottopagata. È infatti certamente da stigmatizzare il fatto che il legislatore si sia “dimenticato” di mettere a disposizione dei capi d’istituto, una volta equiparati a datori di lavoro, le necessarie risorse per applicare il DL 81”. Mi risulta che anche tra i presidi vi è chi fa finta di nulla evadendo l’obbligo, chi affida la prevenzione dello SLC al responsabi le per la sicurezza (spesso un ingegnere) e chi somministra ai propri docenti questionari inadatti burocratizzando la questione e ritenendo in tal modo svolto il proprio compito. Risponde il medico: “Eppure, i pochi studi italiani a disposizione (Milano,Torino, Verona), parlano chiaro: le idoneità all’insegnamento sono dovute a diagnosi psichiatriche, mentre oggi le stesse superano addirittura l’80% dei casi ”. Nella attuale situazione pandemica, anche a causa della DAD, è possibile che ci sia stato un incremento di problematiche psicologiche per gli insegnanti che hanno direttamente gestito e subito la novità delle lezioni a distanza? “Con l’arrivo della pandemia da Covid19, fin da subito i dibattiti, si sono incentrati sulle dimensioni delle aule, sui distanziamenti tra alunni e con gli arredi come i famosissimi banchi a rotelle, sulle mascherine obbligatorie e la misurazione della febbre ma, degli insegnanti come attori principali della scuola, possiamo dire che non vi era traccia fino ai cosiddetti lavoratori fragili over 55 e l’obbligatorietà del vaccino. Solamente allora e soprattutto dopo l’individuazione della cosiddetta categoria dei “lavoratori fragili”, si è compreso come non era possibile fare scuola senza docenti, anzi, senza di loro semplicemente la scuola non esisteva. Il Covid19 ha avuto l’unico pregio di ricordarci che i nostri insegnanti sono i più vecchi d’Europa e di riportare al centro del dibattito la salute degli insegnanti che rappresenta l’architrave di una scuola sana e funzionante: una vera missione nella quale, fino ad ora, hanno tutti fallito, dalle istituzioni ai sindacati”.
Lo stesso Ministro dell’Istruzione pare abbia mostrato il medesimo disinteresse dei suoi predecessori rispetto all’impegno nell’ individuazio ne delle malattie professionali della categoria non è così ? “come già detto, oggi ci si ritrova a trastullarci con termini che non hanno alcun significato clinico (burnout, Stress Lavoro Correlato, rischi psicosociali) perché non si tratta di diagnosi mediche riconosciute ignorando la realtà costituita da migliaia di diagnosi effettuate a lavoratori della scuola, non da singoli medici, ma da interi collegi sanitari dei capoluoghi regionali nel corso degli ultimi 10 anni ”.
Quanti hanno osservato gli effetti e le conseguenze che la DAD ha avuto sui docenti ? “ Nessuno, a cominciare proprio dalle istituzioni. Dall’oggi al domani la categoria professionale ha dovuto adattarsi a una vera e propria emergenza/rivoluzione nel modo di lavorare/ insegnare/educare i giovani. L’insegnante si è visto trasformare da “attore di teatro” in “attore di cinema” senza alcun riscontro positivo sul quale lavorare. Il docente viene messo in vetrina, esposto anche agli occhi sempre poco bonari dei genitori, costretto a reinventarsi e rivisitare le lezioni trasponendole su supporto informatico. È per tale ragione che suona ancora più stridente, a mio giudizio, l’insensata e provocatoria affermazione del filosofo Galiberti che definisce gli insegnanti innamorati del proprio stipendio: ha forse dimenticato che sono i più sottopagati d’Europa? O forse non lo ha mai saputo?”
La realtà è che per avere un corpo docenti innamorato della propria missione, bisogna dar loro strumenti, mezzi, sostentamento e supporto sanitario, all’altezza del mandato loro affidato. “ Infatti, il male ha un’origine ben più lontana dell’ingordigia economica dei docenti e risale alle rivolte del ’68 quando il motto era quello del “vietato vietare” e i genitori hanno incominciato ad essere amici dei figli e non più esempio e punto di riferimento”. La pandemia ha un altro primato, quello di aver fatto triplicare la domanda di psicofarmaci da banco per tenere sopite alcune manifestazioni di stress e disagio, è un comportamento corretto da adottare? Per quanto riguarda il consumo di psicofarmaci come
antidepressivi, ansiolitici e ipnotici, andrebbe fatto un
discorso a parte, soprattutto per ciò che concerne il
loro utilizzo da parte degli insegnanti. L’unico studio effettuato in proposito era stato fatto nel 1979
dall’università di Pavia. I risultati già allora erano drammatici poiché la ricerca constatava che il 30% del corpo docente ricorreva agli stessi con prescrizione specialistica fatta da un neuropsichiatra. Da decenni la prescrizione è divenuta anche appannaggio dei medici di base (60.000) poiché i nuovi farmaci registrati (si pensi al Prozac e derivati noti come SSRI) sono divenuti più maneggevoli. Abbiamo perciò avuto la decuplicazione dei prescrittori ”. Considerando poi le riforme previdenziali, come ha detto Lei, che hanno prolungato l’età pensionabile ai 67 anni, consegue che la percentuale degli insegnanti che ricorrono agli psicofarmaci andrebbe oggi rivalutata e ricalcolata…“Potremmo dire verosimil- mente che potrebbe assommare al 50% del corpo docente. Il fatto non deve sorprendere o scandalizzare considerato che l’usura psicofisica professionale è elevata e le condizioni di lavoro sono sensibilmente peggiorate a causa del Covid. Lo psicofarmaco è un ottimo ausilio ma solo se utilizzato sotto guida medica specialistica. Completamente da rifuggire il “fai da te” ”.